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Giù le mani da Anna Frank


In questi giorni a scuola abbiamo commentato un articolo di cronaca che denunciava un episodio di razzismo avvenuto allo stadio Olimpico di Roma il 22 Ottobre scorso.
Vittima di questo gesto odioso l’immagine di Anna Frank che, con un fotomontaggio, è apparsa nei volantini degli “ultras” laziali vestita con la maglia della Roma.
La notizia ha provocato lo sdegno della presidente della Comunità ebraica della capitale che ha “twittato”: “Questo non è calcio, questo non è sport. Fuori gli antisemiti dagli stadi”.
I presidenti della Figc Tavecchio e della camera Boldrini hanno parlato di atteggiamento inqualificabile.
Anche noi ci siamo arrabbiati nel leggere questo articolo e ci siamo chiesti come mai
ci siano ancora oggi manifestazioni di razzismo nel nostro paese in particolare nel contesto di una partita di calcio.
Lo sport dovrebbe essere un linguaggio universale attraverso il quale tutti si capiscono e si rispettano, un canale per veicolare valori di uguaglianza e di pace.
Purtroppo in questo caso non è stato cosi’.
Forse questi tifosi ( ma si possono definire cosi’?) non conoscono la storia di Anna Frank, una giovane quindicenne di origine ebraica morta di tifo nel campo di concentramento di Bergen Belsen nel 1945.
Quasi sicuramente non hanno letto il suo diario, scritto nei due anni vissuti in clandestinità nella soffitta segreta di Amsterdam insieme ai genitori, alla sorella Margot e ad un’ altra famiglia ebrea.
Al suo diario che chiamerà Kitty, Anna confida le sue paure e le sue speranze.
Soprattutto parla del timore di essere arrestata e deportata, racconta le difficoltà della convivenza forzata e le rigide regole per non essere scoperti.
Tra queste pagine però c’è anche la nostalgia per la vita esterna, il desiderio di una vita normale, il sogno di diventare una scrittrice.
Purtroppo nel 1944 gli abitanti della soffitta vengono scoperti e deportati in un lager tedesco dove subiscono gli orrori del regime nazista.
Solo il papa’ di Anna sopravvive e riesce a pubblicare il diario della figlia esaudendo il suo più grande desiderio.
La nostra maestra ci ha insegnato che la storia serve per conoscere il passato ma anche per non ripeterne gli errori.
Ci piacerebbe che le persone che si sono comportate così male andassero a leggere le pagine di questo diario e non ripetessero questi gesti incivili.
Noi vogliamo ricordare Anna sorridente sulla copertina del suo libro e non sulle maglie di una squadra di calcio.